Bimbo, la corrente del respiro ha sei giorni.
Piccola nocca t'accoccoli sul letto bianco,
piccolo e forte, come una chiocciola rattratto
ti rannicchi al seno.
Le labbra sono animali, sei nutrito con amore.
All'inizio la fame non � errore.
Tentennano le cuffiette le infermiere,
su ceste a rotelle sei pascolato
con la nidiata dei senza nido,
lungo corridoi inamidati.
La tua testa al mio tocco s'inclina,
vacilla piano come una tazzina.
Senti l'appartenenza.
Ma questo � un letto istituzionale.
Non farai per molto la mia conoscenza.
I dottori sono smaltati.
Vogliono sapere i fatti.
Si chiedono dell'uomo che mi ha lasciato,
un'anima pendolo che viene e che va
e come sempre ti lascia piena di bambino.
Ma la nostra cartella clinica rimane vuota.
Ti ho lasciato crescere, non ho fatto altro.
Ora siamo qui, guardati da tutto il reparto.
Hanno pensato che fossi strana
Anche se non ho detto una parola.
Sono esplosa e svuotandomi di te
ti ho lasciato imparare cos'� l'aria.
I dottori fanno grafici d'indovinelli.
Volgo la testa altrove. Io non lo so.
� tua la sola faccia che riconosco.
Ossa da ossa mi bevi le risposte.
Sei volte al giorno soddisfo il tuo bisogno,
le tue labbra animali,
il tepore della pelle che si fa paffuta.
Vedo schiudersi le tendine degli occhi.
Sono pietre blu, il muschio va sparendo.
Sbatti le palpebre stupito,
e mi chiedo cosa vedi
strano parente che turbi il mio silenzio.
Sono un riparo di menzogne.
Dovrei di nuovo imparare a parlare,
o senza speranza di salute mentale
potr� toccare un viso che riconosco?
Nel corridoio ritornano le ceste.
Le mie braccia ti calzano a pennello,
avvolgono le lanose infiorescenze
dei tuoi salici piangenti,
l'arnia ronzante d'api dei tuoi nervi,
i muscoli e le grinze dei primi giorni.
La tua faccia da vecchino
disarma le infermiere.
I dottori mi rimproverano ancora.
Parlo allora. � a te che il mio silenzio nuoce.
Dovevo saperlo. Devo far scrivere qualcosa.
La voce s'allarma nella gola:
"Nome del padre: nessuno".
Ti tengo fra le braccia e ti nomino bastardo.
E anche questa � fatta. Non ho pi�
niente da dire, niente da perdere.
Altre hanno gi� trafficato vita
e non potevano parlare.
Mi rattrappisco per evitare
i tuoi occhi gufigni, mio fragile ospite.
Sfioro le tue guance come fiori. Al contatto
illividisci. Ci disconosciamo. Sono
l'insenatura che t'accoglie, lo scoglio
contro cui ti frangi. Ti stacchi. Scelgo
l'unica via per te, piccolo erede,
e ti do via, squassando i noi stessi che perdiamo.
V� bimbo che non sei nulla pi� d'un mio peccato.
Anne Sexton
Concerning your letter in which you ask
me to call a priest and in which you ask
me to wear The Cross that you enclose;
your own cross,
your dog-bitten cross,
no larger than a thumb,
small and wooden,...
Una donna che scrive � troppo sensibile e sensuale,
quali estasi e portenti!
Come se mestrui bimbi ed isole
non fossero abbastanza, come se iettatori e pettegoli
e ortaggi non fossero abbastanza.
Cred...
La mia fede
� un carico enorme
appeso a un filo sottile,
proprio come un ragno
appende i suoi piccoli a una tela fine,
proprio come dalla vite,
esile e rigida,
pendono grappoli
come occhi,
come molti ...