Giacomo Leopardi: Credei ch'al tutto fossero In me, sul fior degli a



Credei ch'al tutto fossero
In me, sul fior degli anni,
Mancati i dolci affanni
Della mia prima et�:
I dolci affanni, i teneri
Moti del cor profondo,
Qualunque cosa al mondo
Grato il sentir ci fa.

Quante querele e lacrime
Sparsi nel novo stato,
Quando al mio cor gelato
Prima il dolor manc�!
Manc�r gli usati palpiti,
L'amor mi venne meno,
E irrigidito il seno
Di sospirar cess�!

Piansi spogliata, esanime
Fatta per me la vita
La terra inaridita,
Chiusa in eterno gel;
Deserto il d�; la tacita
Notte pi� sola e bruna;
Spenta per me la luna,
Spente le stelle in ciel.

Pur di quel pianto origine
Era l'antico affetto:
Nell'intimo del petto
Ancor viveva il cor.
Chiedea l'usate immagini
La stanca fantasia;
E la tristezza mia
Era dolore ancor.

Fra poco in me quell'ultimo
Dolore anco fu spento,
E di pi� far lamento
Valor non mi rest�.
Giacqui: insensato, attonito,
Non dimandai conforto:
Quasi perduto e morto,
Il cor s'abbandon�.

Qual fui! Quanto dissimile
Da quel che tanto ardore,
Che s� beato errore
Nutrii nell'alma un d�!
La rondinella vigile,
Alle finestre intorno
Cantando al novo giorno,
Il cor non mi fer�:

Non all'autunno pallido
In solitaria villa,
La vespertina squilla,
Il fuggitivo Sol.
Invan brillare il vespero
Vidi per muto calle,
Invan son� la valle
Del flebile usignol.

E voi, pupille tenere,
Sguardi furtivi, erranti,
Voi d� gentili amanti
Primo, immortale amor,
Ed alla mano offertami
Candida ignuda mano,
Foste voi pure invano
Al duro mio sopor.

D'ogni dolcezza vedovo,
Tristo; ma non turbato,
Ma placido il mio stato,
Il volto era seren.
Desiderato il termine
Avrei del viver mio;
Ma spento era il desio
Nello spossato sen.

Qual dell'et� decrepita
L'avanzo ignudo e vile,
Io conducea l'aprile
Degli anni miei cos�:
Cos� quegl'ineffabili
Giorni, o mio cor, traevi,
Che s� fugaci e brevi
Il cielo a noi sort�.

Chi dalla grave, immemore
Quiete or mi ridesta?
Che virt� nova � questa,
Questa che sento in me?
Moti soavi, immagini,
Palpiti, error beato,
Per sempre a voi negato
Questo mio cor non �?

Siete pur voi quell'unica
Luce d� giorni miei?
Gli affetti ch'io perdei
Nella novella et�?
Se al ciel, s'ai verdi margini,
Ovunque il guardo mira,
Tutto un dolor mi spira,
Tutto un piacer mi d�.

Meco ritorna a vivere
La piaggia, il bosco, il monte;
Parla al mio core il fonte,
Meco favella il mar.
Chi mi ridona il piangere
Dopo cotanto obblio?
E come al guardo mio
Cangiato il mondo appar?

Forse la speme, o povero
Mio cor, ti volse un riso?
Ahi della speme il viso
Io non vedr� mai pi�.
Proprii mi diede i palpiti,
Natura, e i dolci inganni.
Sopiro in me gli affanni
L'ingenita virt�;

Non l'annull�r: non vinsela
Il fato e la sventura;
Non con la vista impura
L'infausta verit�.
Dalle mie vaghe immagini
So ben ch'ella discorda:
So che natura � sorda,
Che miserar non sa.

Che non del ben sollecita
Fu, ma dell'esser solo:
Purch� ci serbi al duolo,
Or d'altro a lei non cal.
So che piet� fra gli uomini
Il misero non trova;
Che lui, fuggendo, a prova
Schernisce ogni mortal.

Che ignora il tristo secolo
Gl'ingegni e le virtudi;
Che manca ai degni studi
L'ignuda gloria ancor.
E voi, pupille tremule,
Voi, raggio sovrumano,
So che splendete invano,
Che in voi non brilla amor.

Nessuno ignoto ed intimo
Affetto in voi non brilla:
Non chiude una favilla
Quel bianco petto in s�.
Anzi d'altrui le tenere
Cure suol porre in gioco;
E d'un celeste foco
Disprezzo � la merc�.

Pur sento in me rivivere
Gl'inganni aperti e noti;
E, d� suoi proprii moti
Si maraviglia il sen.
Da te, mio cor, quest'ultimo
Spirto, e l'ardor natio,
Ogni conforto mio
Solo da te mi vien.

Mancano, il sento, all'anima
Alta, gentile e pura,
La sorte, la natura,
Il mondo e la belt�.
Ma se tu vivi, o misero,
Se non concedi al fato,
Non chiamer� spietato
Chi lo spirar mi d�.


Giacomo Leopardi

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