Stanco del triste ospizio e del fetore oscuro
Che sale tra il biancore banale delle tende
Verso il gran crocifisso tediato al nudo muro,
Sornione un vecchio dorso vi raddrizza il morente:
Trascina il pelo bianco e l'ossa magre, lento,
Alle vetrate che un raggio chiaro indora,
Meno per riscaldare il suo disfacimento
Che per vedere il sole sopra le piere ancora.
E la bocca, febbrile e d'azzurro assetata,
(Essa cos� aspirava, giovane, il suo tesoro,
Un corpo verginale e d'allora) ha lordato
D'un lungo amaro bacio il caldo vetro d'oro.
Ebbro, vive, ed oblia la condanna del letto,
L'orologio, la tosse, le fiale, l'ora estrema,
E allorquando la sera sanguina sopra il tetto,
Con l'occhio all'orizzonte, nella luce serena,
Vede galere d'oro, splendide come cigni,
Dormire sopra un fiume di porpora e d'essenze,
Cullando il fulvo e ricco lampo dei lor profili,
Ricolme di ricordo, di vasta indifferenza!
Cos�, colto da nausea dell'uomo, anima dura,
Che s'imbraga felice, per gli appetiti soli
Mangiando, ed ostinato cerca questa lordura
Per offrirla alla donna che gli allatta figliuoli,
Io fuggo e mi attacco a tutte le vetrate
Dove si volge il dorso alla vita e al destino,
E nel vetro, lavato dall'eterne rugiade,
Che l'Infinito indora col suo casto mattino,
Mi contemplo e mi vedo angelo! E muoio, e torno
-Che il cristallo sia l'arte o la mistica ebbrezza-
A nascer, col mio sogno diadema al capo intorno,
Dove, in cieli anteriori, fiorisce la Bellezza.
Ma ahim� il Quaggi� impera: fino a questo sicuro
Rifugio esso perviene talora a nausearmi,
E la Stupidit�, col suo vomito impuro,
Mi fa turar le nari innanzi ai cieli calmi.
Non tenteremo, o Me che sai amare pene,
D'infrangere il cristallo cui insulta l'Averno,
E di fuggire infine, mie ali senza penne,
A volo con il rischio di cadere in eterno?
St?phane Mallarm?